Magazine Musica

Bob Marley, il profeta reggae

Creato il 01 luglio 2012 da Pulledupzine @PulledUpZine

Il mito non riesce ad esprimere l’energia, la passione, la forza del movimento. Il mito è eterno, ma vive di questi limiti e talvolta riduce e sminuisce personalità che hanno superato se stessi parlando al mondo con un proprio linguaggio, con la musica. La quintessenza del suo spirito è racchiusa tutta nelle sue canzoni, che ogni giorno sono cantate da migliaia di persone in tutto il mondo. A 32 anni dalla morte di Bob Marley, il film di MacDonald ci racconta la sua vita attraverso filmati di repertorio dei primi anni della carriera, fino alle foto dei suoi ultimi giorni.

La storia della vita di Bob Marley ha inizio in West Africa in una vecchia fortezza sulla Gold Coast (ora Ghana) alla “Porta del non ritorno” da dove milioni di schiavi neri incatenati furono deportati nel nuovo continente. Bob Marley nacque nel villaggio giamaicano di Nine Mile nel 1945, da madre nera Cedella e padre bianco Norval Marley, un uomo bianco di 65 anni (impiegato dalla commissione forestale per prevenire il furto di legname) che si rifiutò di riconoscerlo come figlio. Bob sin da giovanissimo si sentiva un estraneo, respinto dai bianchi e dai neri, e ben presto maturò la convinzione della missione che ogni uomo deve compiere nella vita: sfidare la società per conquistare la propria indipendenza e vivere in uno spirito di fratellanza universale con i propri simili, principi che fece suoi sposando la spiritualità Rastafari.

bob-marley
bob-marley
bob-marley
bob-marley
bob-marley
bob-marley
bob-marley
bob-marley
bob-marley

Marley crebbe in condizioni di estrema povertà prima in campagna, poi nei quartieri poveri di Kingston Town (Trenchtown), dove a 12 anni venne ritratto in una prima foto. Nel film riecheggiano splendidi aneddoti sulla sua vita e sulla sua band, i Wailers, della loro ricerca di una forma di reggae che fondesse sonorità locali e forme internazionali e dei suoi trasferimenti negli Stati Uniti, in Europa e in Africa. Tra le testimonianze sulla vita di Bob che il regista MacDonald ha sapientemente raccolto nel biopic, ci sono quelle di sua madre, degli amici, dei colleghi musicisti, di una serie di compagne (Marley ha avuto nove o dieci figli da sei o sette donne diverse) di alcuni uomini d’affari, politici e gangster. Su tutte spicca il racconto della sua moglie di origine cubana Rita, che ricorda di aver visto stigmate sulla mano di Haile Selassie durante la sua visita trionfale in Giamaica, i racconti tre dei suoi tredici figli (Damien, Ziggy e Stephen), della bella e grintosa ex Miss Mondo Cindy Breakspeare  dalla quale ebbe un bambino e che rifiutò di abbracciare il rastafarianesimo e del laid-back businessman britannico Chris Blackwell della Island Records.

L’immagine di Marley che ne esce è di un figura misteriosa meno militante del Che, quasi apolitica con una carriera fatta di una breve esperienza in una linea di produzione Chrysler in Delaware, di un lungo periodo di apprendistato come compositore (inizialmente lavorava con strumenti fatti in casa) e una crescita verso la celebrità locale e internazionale. A poco a poco, i dreadlocks, la musica e la nuvola di fumo di ganja si unirono e plasmarono un’immagine ben distinta e riconoscibile. Scampò nel 1976 ad un attentato in Giamaica che lo spinse in esilio a Londra, dove la sua vita prese una piega definitiva quando notò una ferita all’alluce destro e pensò di essersela procurata durante una partita di calcio; una ferita che innescò il melanoma al piede che alla fine consumò il suo corpo. Dopo questo avvenimento qualcuno ricorda il cantante emaciato, senza i suoi dreadlocks per la chemioterapia, assorto ad ascoltare sul letto di una clinica bavarese la madre leggere il Libro di Giobbe. Poco dopo, l’ultimo suo volo attraverso l’Atlantico lo porterà a Miami dove morirà nel maggio del 1981. Le ultime parole di Bob furono rivolte al figlio Ziggy Marley Money can’t buy life (i soldi non possono comprare la vita“).

Il film si conclude con una successione di pezzi di Marley, cantati in varie lingue da gruppi di giovani di ogni continente.

Marley nella magica “Redemption Song” scrisse:

« Emancipate yourselves from mental slavery, no one but ourselves can free our minds… »

« Emancipate voi stessi dalla schiavitù mentale, nessuno a parte noi stessi può liberare la nostra mente…»

T.iG.er


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :